Paola, «una ragazza anziana, vestita di nero, magra e scialba, con il volto avvizzito e lungo, fisso in un’espressione di fredda e abituale malinconia» (p. 71), insegna in un piccolo e sperduto villaggio in fondo ad una valle. Ogni giorno, poco prima delle quattro del pomeriggio, cinque o sei ragazzi del villaggio escono da una casetta bassa, con i vetri rotti e rattoppati con la carta gommata, adibita sia a locale scolastico sia ad abitazione della maestra, la quale vive dunque in una grande e squallida stanza che funge anche da cucina di quella malridotta scuola. Un giorno si presenta in visita suo fratello sedicenne, un ragazzo che nutre fin da bambino un affetto profondo per la sorella. Il giovane le consegna una lettera in cui sono contenute le solite indebite richieste di denaro da parte dei loro familiari, i quali, profittando del lavoro e dell’indipendenza economica di Paola, «erano sempre pronti a piombarle addosso come avvoltoi» (p. 79). Non si tratta di un evento isolato, ma di una triste abitudine della madre e delle sorelle di Paola, mosse non da reale necessità quanto da discutibili ed egoistici desideri. Così, «se avessero potuto spremerla di più, sfruttarla ancora, toglierle il sonno, contare i bocconi, far denaro d’ogni suo minuto!...» (Ibidem) lo avrebbero certamente fatto. Ormai, infatti, «era un andirivieni continuo, un richiedere concitato, delle esigenze senza fine, delle proteste senza tregua!» (Ibidem). Provata da queste continue richieste alle quali non sa opporre rifiuto, la maestrina vede nel matrimonio con un vecchio contadino vedovo l’unica soluzione per sfuggirvi. A seguito di questa scelta, viene disconosciuta da tutta la famiglia ma non dal fratello, che continuerà a provare per lei sempre molto affetto, seppure invano.
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Roma TrE-Press - In collaborazione con il Museo della Scuola e dell’Educazione “Mauro Laeng” (MuSEd)
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2785-4485
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