Negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia, la giovane maestra Angelina (Cinquetti) arriva in un paesino della Toscana per assumere il primo incarico come insegnante della scuola elementare locale. L’unica aula è collocata in una vecchia stalla malconcia e presidiata, all’inizio delle lezioni, da un anziano ex combattete con divisa da garibaldino, che controlla le presenze degli alunni e li richiama con durezza all’ordine. L’insegnante, invece, si mostra affettuosa coi bambini, ai quali si presenta come la loro sorella maggiore.
La maestra incontra la resistenza dei contadini del posto, che sono contrari alla legge sull’istruzione obbligatoria. Tra questi, uno dei più ostili è il vedovo Testadirapa (Lulli), che preferisce tenere con sé il figlio Gosto (Scrobogna), ritenendosi in grado di insegnargli tutto ciò di cui ha bisogno. Tuttavia, con dolcezza, la maestra riesce a persuadere il bambino a presentarsi a scuola, dove viene da lei nominato capoclasse; egli, però, torna a casa con i segni dei pugni ricevuti dai compagni. Il padre allora gli proibisce di riprendere a frequentare le lezioni.
Padre e figlio continuano insieme con le solite attività di caccia e cura dei campi, ma il bambino scappa e si reca a scuola. Il padre fa irruzione nell’aula e preleva il figlio, dando uno spintone all’assessore (Tulli), presente in quel momento. Per questo atto, Testadirapa viene processato e, nonostante la testimonianza della maestra tenti di mitigare le responsabilità del contadino, viene condannato alla prigione fino al termine dell’anno scolastico, pena che verrà aumentata per ogni giorno di assenza ingiustificata del figlio da scuola.
In questo periodo la maestra, oltre a continuare il lavoro a scuola, si prende cura del piccolo Gosto e fa arare il campo del contadino, dopo aver fatto arrivare una macchina agricola da Milano. Il bambino frequenta regolarmente la scuola, per non inasprire la pena al padre, ma non si mostra interessato ad imparare, fino alla visita dell’ispettore scolastico (Parenti), che interroga gli allievi senza ricevere alcuna risposta. Di fronte a questo silenzio, il funzionario invita la maestra a cambiare lavoro. Allora Gosto, per salvare l’insegnante a cui è affezionato, risponde alle domande dell’ispettore, dimostrando così che i mesi di frequenza, seppur segnati dall’indifferenza verso la scuola, gli hanno invece portato un significativo beneficio negli apprendimenti.
Di lì a poco, Testadirapa esce da prigione, trova il campo lavorato e il figlio in grado di leggere e scrivere. Orgoglioso dei progressi del figlio, il contadino si ricrede sul valore della scuola e saluta la maestra che torna al suo paese per le vacanze estive, dicendole che al rientro sarà la benvenuta.
Fonti
R. Laporta, Da “Testa di rapa” al film per ragazzi, «Il ponte», 23, 1967, pp. 787-802.
C. Scaglioso, Il cinema nella scuola e la scuola nel cinema, Fossano, Esperienze, 1977, pp. 96-97.
P. Mereghetti (a cura di), Dizionario dei film, Milano, Baldini & Castoldi, 1995, pp. 1522-1523.