Il regista Alessandro Marenco ha sentito nominare per la prima volta il maestro “Milano” dalla zia Teresa, che ne parlava come di “un girovago che insegnava a leggere e a scrivere a grandi e bambini dei boschi dell’Appennino savonese, tra la prima e la seconda guerra mondiale”.
Nel cortometraggio l’autore cerca di ricostruire e documentare la figura di questo insegnante, di cui ci sono poche tracce, proprio perché, si dice, non ha voluto lasciarle. Partendo da una fotografia, che la padrona di una vecchia osteria ha meticolosamente conservato, si va a ritroso nella vita di quest’“uomo anziano, trasandato, eppure una persona di riguardo”.
Le testimonianze raccolte tra il 2007 e il 2008 nell’Appennino savonese e le immagini che Marenco cattura nei luoghi citati permettono allo spettatore di immergersi in quei boschi e nell’atmosfera della scuola del maestro girovago.
Teresa Scarrone, Savina Molinari, Davide Ferraro e Paola Lerone sono le fonti viventi, preziose per Marenco nel suo viaggio a ritroso sulle tracce del maestro “Milano”, partendo dal suo luogo di sepoltura, il cimitero di Montenotte. Oggi la tomba non c’è più, ma in quei luoghi qualcuno ricorda che il nome del maestro era Luigi Sacchi. Attraverso l’atto di morte del 1936, l’autore è risalito facilmente al suo atto di battesimo del 1863 e al suo luogo di nascita (Vellezzo Bellini in provincia di Pavia).
Nel suo viaggio Marenco scopre che diverse persone ricordano il maestro “Milano” fra Dego e Montenotte e che invece è curiosamente conosciuto col suo vero nome in altri paesi della zona, come Roviasca e Osiglia.
Emerge a poco a poco la figura di un insegnante antifascista e inviso ai proprietari terrieri della zona. Pur essendo un oppositore del regime di Mussolini, egli non rinunciò a scrivere una lettera, o forse più di una, a donna Rachele, fiducioso che quell’atto potesse sortire un buon effetto a favore di famiglie povere e di scuole più raggiungibili per i bambini della zona, oppure lettere ai fattori per migliorare le condizioni di vita dei mezzadri.
Sacchi viene presentato come “maestro senza scuola, senza casa e senza soldi”, rappresentante di una scuola itinerante fatta di maestri impegnati, la cui missione di vita era insegnare agli ultimi, che fossero bambini o adulti, a leggere, scrivere e fare di conto. Senza avere niente in cambio, niente che non fosse un oggetto utile o un piatto di minestra, Sacchi, insegnando ai mezzadri nei boschi del savonese, diede loro la possibilità di far valere i loro diritti, tanto che la sua scuola nei boschi viene ricordata come scuola con un valore eversivo nei confronti della società tradizionale.
Il cortometraggio si chiude con le immagini della cascina “La Bandita” a Montenotte e del fienile dove Sacchi morì nel 1936 piangendo per il dolore, momenti che ancora in quei luoghi, non senza stima e affetto, ricordano.
Il cortometraggio è stato diffuso anche attraverso AulaWeb, portale e-learning dell’Università di Genova.
Intervistatore e voce fuoricampo: Alessandro Marenco
Intervistati: Davide Ferraro; Paola Lerone; Savina Molinari; Teresa Scarrone
Fonti
A. Marenco, D. Montino, Storie magistrali. Maestre e maestri tra Savona e la valle Bormida nella prima metà del Novecento, Millesimo, Comunità Montana “Alta Val Bormida”, 2008, pp. 78-107.
A. Marenco, Il più dolce nome. Storia di un maestro girovago e delle sue scarpe rotte, Savona, Pentàgora – Delfino & Enrile, 2021.