Il film si apre con un giovane Lorenzo Milani (Salerno) che chiede lumi a un sacerdote circa la fede cattolica e questi lo conduce al capezzale di un giovane prete appena morto. Ѐ il culmine di un processo di conversione che confluisce nella vocazione al sacerdozio, quindi nell’ingresso in seminario da parte di Lorenzo. A fare da sfondo, gli eventi terribili della seconda guerra mondiale.
La pellicola si sofferma poi ampiamente sul mandato sacerdotale svolto a San Donato di Calenzano. L’accoglienza dei fedeli è calorosa e don Milani desidera fin da subito delle classi scolastiche in cui insegnare religione. Ѐ il tempo in cui avvengono le elezioni politiche del 18 aprile 1948, con lo scontro frontale tra Dc e Pci. Il sacerdote non appoggia ideologicamente il comunismo, ma neppure è dalla parte dei capitalisti: difende il diritto di sciopero, si circonda di contadini e operai in odore di comunismo, irride all’ipocrisia di chi non vive cristianamente ma frequenta i sacramenti. Nel 18 aprile vede ultimamente la vittoria dei ricchi, che la Chiesa, sostenendo la Dc, avrebbe propiziato, ed è proprio con molti industriali che si scontra nel tentativo di raccomandare alcuni dei suoi ragazzi per ottenere un lavoro.
Frattanto, all’arcivescovo di Firenze cardinale Elia Dalla Costa (Peracchio) arrivano voci contrastanti circa l’operato di don Milani e il presule decide di trasferirlo. La scena passa subito a Barbiana. Non viene descritta la gestazione di un progetto educativo, ma il sacerdote è ritratto subito all’opera: va alla ricerca dei figli dei contadini per portarli alla sua «scuola popolare», imposta una didattica induttiva basata sull’esperienza, propone una modalità di scrittura collettiva di testi. Intanto si ammala. In ospedale riceve una lettera del cardinale, che gli scrive di non riconoscere in lui sufficiente carità pastorale: don Milani ne è molto amareggiato, ma i ragazzi sono dalla sua parte.
La conclusione del film riguarda la stesura della lettera ai cappellani militari circa la questione dell’obiezione di coscienza, con la successiva vicenda processuale. Don Milani non accetta l’assoluzione per non aver commesso il fatto perché, al contrario, ritiene giusta la sua posizione, che non rinnega di aver esternato, anche se in opposizione alla legge. La malattia, intanto, prosegue. Sebbene ormai allettato, seguita a esporre le sue idee pedagogiche, confluite in Lettera a una professoressa, la cui copia stampata riceve proprio poco prima di morire, con la mano nella mano di uno dei suoi ragazzi.
Fonti
F. Manfriani, L’«immagine» di don Milani, in Don Lorenzo Milani. Atti del Convegno di Studi – Firenze, 18-19-20 aprile 1980, Firenze, Comune di Firenze: Tipografia Nazionale di Firenze, 1981, pp. 284-292.
M. Morandini, Il Morandini. Dizionario dei film, Bologna, Zanichelli, 2000, p. 1024.
F. Ruozzi, Riflettori su Barbiana: teatro, cinema e televisione, in R. Michetti, R. Moro (a cura di), Salire a Barbiana. Don Milani dal Sessantotto a oggi, Roma, Viella, 2017, pp. 153-203.
P. Alfieri, C. Frigerio, Memoria scolastica o memoria pedagogica? La scuola di don Milani al cinema e in televisione (1963-2012), in P. Alfieri (a cura di), Immagini dei nostri maestri. Memorie di scuola nel cinema e nella televisione dell’Italia repubblicana, Armando, Roma, 2019, pp. 53-76.